Teatro

PARIGI, CARMEN

PARIGI, CARMEN

Parigi, Opéra Bastille,”Carmen” di  Georges Bizet

CARMEN AI TEMPI DELLA MOVIDA

La nuova produzione di Carmen creata da Yves Beaunesne per la Bastille  era uno degli spettacoli più attesi della stagione,  trattandosi di uno dei titoli più amati del repertorio assente da una decina d’anni dal cartellone e per la presenza di Anna Caterina Antonacci che nel ruolo di Carmen aveva già infiammato il pubblico parigino all’Opéra Comique. Peccato che le attese siano andate in parte deluse.

Il regista ambienta la vicenda in Spagna a metà degli anni ’70 , all’inizio della Movida e dei fermenti di libertà ed emancipazione dopo gli anni della dittatura; lo spunto si può prestare a interessanti chiavi di lettura ma non è compiutamente sviluppato e la regia risolve il tema in superficie limitandosi all’ambientazione, affollando eccessivamente  la scena di comparse in abiti sgargianti, insistenti lolite-sigaraie, cappelloni e travestiti, con uno zeffirellismo di ritorno in chiave almodovariana.
La scena di Damien Caille-Perret è unica: un capannone senza tetto dalle grigie pareti di cemento corrose con travature spezzate che abbozzano delle parziali coperture, ambiente generico, ma comunque  sufficientemente versatile per ambientare con poche variazioni  i luoghi del dramma.
Per la taverna di Lillas Pastia  l’azione si concentra su di una sorta di carro ferruginoso di derivazione bellica che ha il merito di mettere in primo piano i protagonisti e in particolare la  seduzione di Carmen su Don Josè, giocata con giusta tensione fra le due estremità del carro, ma la varia umanità che si agita a passi di danza sullo sfondo e i continui  ammiccamenti di un travestito sono di troppo.
Non convince la scena della Habanera con Carmen che mordicchia una mela davanti ai bambini (facile allusione al peccato originale) per poi scomparire, quasi inghiottita dagli uomini che le si accalcano intorno in una sorta di stupro di gruppo. Buona invece l’intuizione di farci assistere nella penombra al lungo rituale di vestizione del torero, mentre sfilano per la parata saltimbanchi, acrobati e un gigantesco torero di cartapesta davanti a Carmen nascosta dietro a un paio di occhiali da sole neri sugli spalti dell’arena.
La regia ha un guizzo nel finale quando vediamo Don Josè che si trascina sulla scena con una logora valigia da cui estrae un vecchio abito da sposa che infila a Carmen come una camicia di forza per ricondurla al suo ideale di donna oggetto e assimilarla alla madre (grande assente/presente dell’opera)  per poi strangolarla con un lembo dello stesso vestito.
Nella produzione dei quattro personaggi principali solo Don Josè ha giusta pregnanza drammatica. Carmen è una sorta di Marilyn platinata in sottoveste nera (trovata ormai abusata e più efficace in altri contesti) che, anziché conferirle sensualità fatale, la fa apparire sciatta e smarrita. Non è meglio Micaela che arriva dalla Navarra in bicicletta vestita da fata turchina con lunghe trecce e zaino sulle spalle, tanto più che prima di rivolgere la parola ai soldati va avanti e indietro sulla bicicletta per svariati minuti.
Piuttosto volgare Escamillo,  un incrocio fra un magnaccia e Tony Manero vestito di bianco con i pantaloni a zampa d’elefante e  camicia aperta sul petto con catena d’oro d’ordinanza che  gioca a toccare i seni di plastica del travestito.

Nella recita a cui abbiamo assistito Carmen è stata interpretata da Karine  Deshayes, una delle voci più promettenti della scena lirica francese. Se il personaggio va ancora approfondito per quanto riguarda  carica sensuale e magnetica (e la regia non ha giovato), ha conquistato la voce ben proiettata capace di espandersi nell’immensa sala della Bastille.
Karine Deshayes risolve il personaggio nel canto e si apprezza, oltre all’innegabile idiomaticità e cura del fraseggio, la capacità di modulare il canto in base alle prescrizioni ritmiche. Una Carmen leggera e potente al tempo stesso, piena di nuances e leggerezza in Habanera e Seguidilla, ma capace di sorprendere per i drammatici affondi nel grave.
Nikolai Schukoff crea un Don Josè ombroso dalla virilità appassionata e sofferta, un uomo travolto dagli eventi che non ha più nulla da perdere e fin dall’inizio traspare nella gestualità nervosa il suo andare incontro a un tragico destino. Malgrado qualche forzatura, la sua interpretazione intensa, soprattutto nell’aria del fiore o nel finale, non lascia indifferenti e anche nel suo caso si apprezza la dizione francese curata ed il gusto della sfumatura.
La Micaela di Genia Kühmeier aveva riscosso unanimi consensi a Salisburgo e anche ora incanta per la voce luminosa e piena e una linea sicura che le consente di risolvere con naturalezza i passaggi più scomodi. La sua Micaela è sensibile senza essere troppo naive o zuccherosa  e, dietro il riserbo, traspaiono sprazzi di delusione, gelosia, disperazione.
Di Ludovic Tézier non cesseremo mai di lodare il canto aristocratico, la cura di fraseggio e dizione, ma il ruolo di Escamillo vorrebbe maggiore esuberanza e il fuoriclasse francese risulta a disagio con un’impostazione registica che non sembra condividere: il suo torero rimane un po’ sfuocato.
Modesta la Frasquita di Olivia Doray, apprezzabile la Mercedes di Louise Callinan. Spicca per incisività e naturalezza il brigadiere Morales di Alexandre Duhamel, bene anche lo Zuniga di François Lis. Dei due contrabbandieri Edwin Crossley–Mercer è Dancaire, François Piolino è  il Remendado. Philippe Faure  è Lillas Pastias.

Ottima per il senso del racconto la direzione di Philippe Jordan, che è riuscito nel duplice intento di sostenere il canto senza coprire le voci e dare il giusto  peso  alla componente sinfonica, sempre protagonista per sensualità e  ricchezza di colori. Particolarmente precisa e sintonica al gesto del maestro l’orchestra, buona la prova del coro.

Se la prima è stata sonoramente fischiata (i maggiori dissensi sono stati rivolti alla regia, ma anche i cantanti non ne sono usciti indenni), la produzione ha avuto pieno successo alle repliche registrando il tutto esaurito. Come spesso succede, la verità sta nel mezzo.

Visto il 22.12.12 a Parigi, Opéra Bastille

Ilaria Bellini